giustizia

Dovere

Il concetto di dovere è antichissimo e affonda le sue radici in un tempo ancor precedente di quello del diritto. Esso infatti si lega, oltre che a valori morali quali l’uguaglianza e la libertà, che solo in epoca illuminista vedono la luce nel pensiero politico, anche e soprattutto ai più antichi valori caratteristici dei regimi teocratici dell’antichità. Si nota infatti come il dovere, sin dai tempi più remoti, si sviluppi in rapporto con la divinità, prima che il giusnaturalismo metta in luce il carattere contrattuale dello Stato. Così non è un caso che, in società dove ogni aspetto è relazionato al culto religioso e dove il potere è retto dai ministri sacerdotali, anche il dovere assuma importanza alla luce della conformazione al volere divino: infatti la tragedia greca e la grande oratoria classica spesso richiamano i loro protagonisti a un dovere dettato da istanze religiose. Se ne hanno esempi pratici nelle liturgie dell’antica Grecia, come nel caso che emerge dall’orazione “Per l’olivo sacro” di Lisia: l’accusato non ha adempito al proprio dovere di curare un olivo considerato sacro, dunque è giusto che sia condannato. Ciò che emerge da questa, come da altre vicende di cui è ricca l’antichità, è il legame indissolubile che sussiste tra dovere, giustizia e religione. In uno Stato dominato dal potere degli dèi, anche la società è sottoposta a doveri civili strettamente connessi a doveri morali derivati dalla religione. Anche la filosofia di quell’epoca conferma il valore morale del dovere: Platone riconosce alle tre classi della società tre differenti valori che ciascuno ha il dovere di rispettare. Se dunque è un dovere per i lavoratori essere temperanti, coraggiosi per i guerrieri e giusti per i governanti, il fondamento che giustifica tutto ciò è sempre di carattere morale: ognuno infatti realizza la propria anima (irascibile, concupiscibile o razionale che sia). Anche il Cristianesimo, pur nella sua unicità del messaggio, mantiene questa impostazione, per cui è un dovere il rispetto dell’altro in virtù del fatto che siamo tutti figli di Dio e dunque uguali. Ma già in tempi antichi si scorge una diversa accezione del significato di dovere, quando per esempio si ritiene giusto dover pagare il cosiddetto “theorikòn”, ovvero la tassa che permetteva a tutti, anche ai più poveri, di assistere alle rappresentazioni teatrali. Da ciò emerge la concezione che poi si affermerà nel ‘700 e che apre le porte al dibattito sulla legittimità di certi doveri. Svincolato dal piano religioso, il dovere sembra assumere un valore civile più rilevante, ma al contempo perde il suo diretto fondamento e accende la questione sulla sua origine. Perché è doveroso pagare le tasse, per esempio, per permettere a tutti di assistere al teatro? Su questo tipo di considerazioni si innesta il pensiero giusnaturalista, che segna la svolta nella definizione di diritti e doveri. Se nell’antica Grecia diritti e doveri erano prerogative per pochi (vigeva infatti il principio del trattare ugualmente gli uguali e diversamente i diversi), con la scoperta dei diritti di natura e quindi con la nascita dello Stato come contratto, essi trovano un loro fondamento. La volontà di coloro che hanno firmato il contratto di costituire uno Stato che tutelasse i propri diritti di natura, garantisce ai diritti e ai doveri una solida base, ossi il riconoscimento e l’adeguamento all’identità dell’uomo. Dovere dell’uomo è dunque quello di rispettare, nel proprio agire, tali diritti pre-sociali. Si afferma poi l’idea, secondo una concezione tipicamente liberale, del dovere di salvaguardare la democrazia stessa, unico regime in grado di garantire la libertà: nostro dovere è esprimere la nostra libertà, anche qualora essa vada contro la volontà della maggioranza, strumento del potere democratico. Come sostiene Tocqueville, per non rischiare di incorrere nella cosiddetta “dittatura della maggioranza” è necessario e doveroso, da parte del cittadino, esprimere la propria libertà, come mezzo per garantire l’ordine democratico stesso. Anche se la nostra è l’espressione di una minoranza, noi abbiamo il dovere di esprimerla, attraverso gli strumenti democratici, quale il voto, per non lasciare le decisioni unicamente alla maggioranza, Si innesta su questo concetto di dovere il tema della disobbedienza civile: essa, se attuata in maniera non violenta e civile appunto, può trasformarsi, da atto teoricamente anti-democratico, in vero e proprio strumento di civiltà, dovere del cittadino.
Anche oggi, nonostante secoli di speculazione filosofica, il tema rimane attuale e si evolve nelle forme della modernità. Di fronte al calo degli elettori votanti torna alla mente il dovere di ciascuno nell’espressione della propria opinione, non solo come diritto ma anche e soprattutto come dovere nei confronti del regime democratico. Più difficoltosa è l’analisi dei doveri a cui dovrebbero attendere i governanti. Lontani dall’immagine platonica di simbolo della giustizia, essi hanno assunto nell’immaginario collettivo un significato negativo, probabilmente a buon diritto per quanto si può osservare. Se infatti dovere del cittadino è rispondere alle esigenze cui è chiamato dallo Stato, così maggiormente la figura del governante deve assumere il gravoso dovere di saper fare gli interessi di tutti, di mettersi anch’esso al servizio dello Stato e non al di sopra di esso. Dovere comune infine, che si erge su tutti gli altri particolari, è la spinta verso l’unità, verso la coesione e la fratellanza ( termine che non a caso campeggiava sulle bandiere della Rivoluzione francese), perché ciascuno, non tanto per imposizione, quanto per intimo convincimento, aiuti il progresso della società. È infine interessante quindi soffermarsi sul dovere e l’intima convinzione in esso. Schopenhauer riteneva che compire il bene fosse realizzabile conformandosi all’idea di altruismo che soccorre tutti gli uomini nella loro sofferenza: al di là della sua visione del mondo, anche noi oggi dovremmo cercare dentro di noi quel fondo di umanità che ci accomuna e quindi riuscire a reinterpretare il dovere, per troppo tempo visto solo come imposizione, come invece grande gesto di solidarietà. È inoltre utile conformarci interiormente al dovere anche per realizzare noi stessi, la nostra natura, proprio come il giudice Wilhelm di Kierkegaard, con la sola differenza che, nella soddisfazione di noi stessi, ci sentiremo al contempo liberi.
Questo, dunque, deve essere il grande valore odierno del dovere: simbolo di libertà interiore, esso permette la convivenza democratica tra gli uomini e la continuazione dell’istituzione statale.


Marco Ricci V D Liceo Classico ‘Galileo’ Firenze

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