Disobbedienza civile
Le società più antiche erano “società dell’obbligo”, in cui la legge dello Stato è presente come entità quasi esclusivamente limitativa, che pone divieti e prescrizioni; poi, a seguito delle pretese sociali, politiche e civili venne nell’età moderna, con le prime costituzioni non concesse, ma ottenute, una civiltà improntata ai sacri e irrevocabili diritti del singolo, mentre nella contemporaneità abbiamo esperienza di una solida struttura di diritti e doveri, una sorta di hegeliana sintesi nella triade della storia della civiltà dell’uomo. L’odierno mondo democratico sembra dunque retto da un ben ponderato intreccio di diritti, che tutelano i cittadini rispetto allo Stato garantendo, in linea di massima, le inderogabili libertà del singolo, e di doveri, che tutelano lo Stato rispetto ai cittadini garantendo l’obbedienza del singolo con prescrizioni in misura più o meno estesa. Ma, dando per appurata la presenza di diritti sufficientemente egualitari nella compagine democratica, per sottrarci ad una faconda e feconda diatriba che vedrebbe contrapporsi tesi presenti in opere come la “Repubblica” di Aristocle, detto Platone, il Leviatano di Hobbes, o lo hegeliano ingresso di Dio nella monarchia prussiana e il comunismo di Marx, mi soffermerò soltanto su quali doveri possano definirsi inequivocabilmente necessari nello Stato democratico.
Lo stesso Socrate, che Erasmo da Rotterdam soleva definire “santo”, il padre della filosofia antropologica, condannato dalla democrazia ateniese, sostenne che è di gran lunga preferibile subire un torto che commetterlo, predicando, come testimonia anche Platone, l’inviolabilità assoluta della legge dello Stato, dovere che risulta valido anche alla luce della morale di Kant, per cui è legittimo ogni principio che possa essere universalizzabile, ovvero non dannoso per lo Stato se assunto da ciascun uomo, e così pure appare inviolabile in accordo con il pensiero di Hegel, giacché innanzitutto la disobbedienza danneggerebbe lo Stato che in Hegel è divinizzato, poi perché, assumendo che ciò che è reale è anche razionale, e ogni Stato prescrive l’obbedienza alla legge, una norma di tal genere ne viene certamente più che giustificata. Il dovere di obbedire alle leggi dello Stato non pare però essere contemplato nella sua totalità da chi, come Marx e Bakunin, ha ammesso uno stravolgimento dell’organizzazione statale attraverso la lotta armata, autorizzando di fatto la disobbedienza civile, che peraltro si potrebbe pensare di prendere in considerazione per quei casi in cui essa è stata strumento di contestazione, nel senso di sensibilizzazione, di una particolare realtà, della maggioranza da parte di una minoranza; sulla stessa controversa questione si sono destreggiati gli imputati del processo di Norimberga del 1946, affermando di aver fatto ciò che prescriveva la legge del Reich nazista. La seconda implicazione del precetto di Socrate, l’assoluta astensione dalla violenza, non è stata altrettanto largamente adottata dagli Stati: non si pensi alla sola patria potestà dell’Antica Roma, che dava al patriarca diritto di vita o di morte sui figli, ma anche alla legittima difesa, prevista dalla legge di numerosissimi Stati. Questa prescrizione ha avuto molteplici risvolti nella disobbedienza civile: in particolare, ma non solo, nei casi dei recenti conflitti bellici, anche se ritenuti difensivi. Nondimeno, numerose filosofie hanno contemplato un “dovere di astenersi dalla violenza”: celebre è l’esempio della filosofia cristiana, che, ampliando il concetto da astensione dalla violenza a “rispetto di ogni uomo”, vede la sua base nel cosiddetto “undicesimo comandamento”, spesso espresso nella formula «Ama il prossimo tuo come te stesso», che sancisce per i cristiani il “nuovo patto”, “Nuovo Testamento”, tra Dio e gli uomini tutti; concetti simili si ritrovano nell’atarassia stoica e parallelamente negli scritti induisti dell’Upanishad, fedelmente ripresi dalla filosofia di Schopenhauer. Lo stesso primo principio della morale di Immanuel Kant prevede che un comportamento sia corretto se assumibile simultaneamente da ogni uomo, e questo non implica altro che ciascuno ha il dovere di comportarsi con il prossimo così come con se stesso; tuttavia, giacché uno Stato non può che essere composto da e nell’interesse di uomini, si potrebbe arrivare ad affermare che il rispetto per ogni uomo porti necessariamente al rispetto dello Stato e quindi delle sue leggi.
Dunque, accettando la disobbedienza civile solo nel suo limite costruttivo, assieme a poche altre rinunce, si potrebbe affermare che perseguibili per ogni uomo sono i doveri del rispetto della legge, dell’uomo e dello Stato, sia che questi siano in realtà la medesima cosa, sia che non lo siano. Ad ogni modo queste norme verranno certamente seguite, o almeno approvate («Video meliora proboque… » diceva un grande poeta latino) fintantoché non se ne troveranno altre inequivocabilmente più giuste e dunque egualitarie nei confronti di ogni singolo uomo e dello Stato tutto.
Luca Flora V D Liceo Classico ‘Galileo’ Firenze